“Beh, basta richiamare e scopriremo subito chi è!”, disse papà armeggiando
con il cellulare.
Il telefono squillò per un bel pezzo e quando,
finalmente, dall’altro capo qualcuno rispose, papà riconobbe la voce e i suoi
occhi si riempirono di lacrime. Dall’altro capo, il veterinario gli aveva appena detto che tu non c’eri più.
Sapevamo che le tue condizioni erano critiche e che in questi ultimi giorni erano peggiorate, ma speravamo che il veterinario, che tanto aveva fatto in tutti questi anni, riuscisse a salvarti. Speravamo che, dopo essere scampato alla filaria, dopo aver vissuto per anni con l’asma che non ti dava tregua, riuscissi a venirne fuori anche questa volta. E invece, questa volta, il male ha vinto.
Proprio adesso, che avevo cominciato a conoscerti
e a non avere più paura di te. Proprio adesso, che avevo imparato a farti quelle
carezze sulla testa che ti piacevano tanto.
Perché tu eri un micione tanto buono ed affettuoso
ma molto fifone. Quando mi avvicinavo ti ritraevi e, qualche volta, mi hai pure
soffiato contro facendomi spaventare.
E mamma e papà mi dicevano sempre di non avere paura
di te e che soffiavi solo perché avevi paura. Mi dicevano che eri buono e che non
avresti fatto del male nemmeno ad una mosca.
Poi, anche tu hai imparato a conoscermi e, piano
piano, ti lasciavi accarezzare tranquillamente dalle mie manine piccole.
Papà chiude la telefonata e prende il fazzoletto. Anche la mamma si asciuga le lacrime, seduta sul
divano.
Perché anche per loro non è facile pensare che Tommy,
il piccolo grande amico a quattro zampe, che ha condiviso la loro vita per quasi
dodici anni, non ci sia più. Allora prendono l’album delle fotografie e davanti
ai miei occhi comincia a scorrere un film.
Prima vedo un batuffoletto grigio, grande come un
pugno, che riesce appena a stare ritto sulle zampine, poi un gattino monello
che ficca il naso dappertutto e salta sempre di qua e di là e poi se ne va a
dormire acciambellato in un cestino e, infine, un grosso micione che, sornione,
se la spassa perennemente spaparanzato sul divano, sul tavolo o tra le braccia
del malcapitato di turno.
“Doveva essere proprio un bel birbante, Tommy!”,
dico e mamma e papà mi sorridono con il cuore pieno di tristezza e mi
raccontano di quando, durante il weekend, dormivi in casa con loro e, di notte,
salivi nelle camere perché volevi saltare sui letti, oppure di quando, all’ora
di pranzo, ti facevi trovare in anticipo seduto alla tavola già apparecchiata e
quando, sotto le feste di Natale, ti arrampicavi fin sul Presepio e facevi la
statuina.
Con Nonna Carla, poi, hai creato un legame
particolare: di notte dormivi con lei e ti sdraiavi sul suo cuscino, sopra la sua
testa! E se la nonna voleva leggere, aveva sempre qualche problema perché tu
gli agitavi la tua grossa coda davanti agli occhi e non la lasciavi mai in pace.
Altre volte, invece, dormivi a fianco a lei e se,
per caso, si girava, miagolavi perché ti disturbava il sonno e allora te ne
andavi a dormire sulla lavatrice o sulla cassettiera.
Poi, che fosse apparecchiato o meno, avevi sempre
il tuo posto fisso per sdraiarti sul tavolo della cucina, appoggiato al muro,
proprio dove passano i tubi dell’acqua calda, e quando vedevi la nonna prendere
il telefono le saltavi in grembo e stavi lì a farti accarezzare per tutto il
tempo della telefonata.
Sei stato di conforto anche per Nonno Gigi, nei
suoi ultimi tempi, quando si muoveva sempre di meno: salivi sul divano, accanto
alla sua poltrona, e te ne stavi lì sdraiato, vicino a lui a ricevere qualche
carezza o qualche complimento, biascicato con voce sempre più malferma.
Papà e Nonna hanno chiesto al veterinario se
potevano portarti a casa per farti riposare per sempre in giardino, appena
fuori dalle nostre case, dove avevi tanto corso e dove ti sdraiavi all’ombra di
qualche pianta.
In verità la legge non lo consentirebbe però il
veterinario è stato bravo (sapete, è stato anche intervistato da Edoardo
Stoppa, sì, proprio quello di Striscia la Notizia, perché aveva mandato in
prigione un suo collega cattivo che uccideva gli animali invece di curarli) e
ha chiuso entrambi gli occhi.Così non finirai in un tetro inceneritore ma tornerai di nuovo a casa e resterai sempre con noi, piccolo grande amico, perché sarai nella terra, nelle foto e nel nostro cuore.
E a me piace pensare che tu, ora, sia anche lassù, con Nonno Gigi, a giocare tra le nuvole.
Perché un amico buono ed affettuoso, che tanto sollievo ha dato a Nonna Carla, soprattutto dopo che Nonno Gigi se ne era andato, non può finire tra le fiamme, né dell’inceneritore, né dell’inferno.
E quando sarò a Galliavola e correrò in giardino ti cercherò con lo sguardo e mi sembrerà strano non vederti più. Però saprò che tu sarai sempre lì con me, sulla finestra, sul muretto, sul tavolo o nascosto tra i fiori, ad osservarmi con i soliti occhi semichiusi ma capaci di cogliere ogni più piccolo movimento.
E se per caso vedrò due nuvole che anche loro si rincorrono nel cielo, saprò che siete tu e Nonno Gigi che fate la gara per chi si accaparra la poltrona per primo.
Allora vi manderò un grosso bacio e griderò: “Monelli, non litigate, fate un po’ per uno…..!”.